9 passaggi sul perchè bloccare tutto (e dintorni)

un volantino apparso durante i cortei studenteschi spontanei di mercoledì scorso a milano

Scoppia la guerra, e lo spettacolo continua
Crollano le borse, e lo spettacolo continua
Precipitano ecosistemi, e lo spettacolo continua
A stabilire il cottimo dell’esistente è il mercato
E l’educazione ne è, oggi una volta di più, asservita
Inceppiamo il meccanismo a partire dalle università. Blocchiamo tutto. Ripartiamo da zero

9 PASSAGGI SUL PERCHE’ BLOCCARE TUTTO ( e dintorni)

1- In una città mercantile basata sul flusso continuo di merci bloccare i canali di flusso significa interrompere la normalità.
Voi direte: “non bisogna creare disagio”.
Noi vi risponderemo che ci sentiamo molto più a disagio nel continuare
a far finta che tutto questo sia normale. Anche quando a decidere del
nostro futuro sono le banche, le multinazionali, le lobby. Anche quando
l’insicurezza del vivere si è cristallizzata in paura. Anche quando gli
ultimi steccati nel campo della desolazione sociale e ambientale stanno
per essere abbattuti.

2- Un corteo spontaneo al giorno di mille persone crea molto più
disturbo di un grande evento programmato di 100.000 persone una volta
ogni tanto. In questa diversità qualitativa passa parte della
differenza tra l’efficacia e la testimonianza.

3- La moltiplicazione delle forme di lotta e dei momenti di
conflitto dal basso ci rende meno controllabili, meno incanalabili in
binari prestabiliti, meno etichettabili come sostenitori di un partito
o di un sindacato. Ci rende più agili e meno prevedibili. Dimostra
un’autonomia e una ricchezza di pensiero e di azione.

4- Viviamo in una società frenetica in cui a scandire il ritmo della
vita sono logiche aziendali. Produttività profitto rapidità, a scuola
al lavoro al supermercato.
Noi viventi esistiamo come detriti abbandonati alla corrente dei flussi
mercantili, come corpi isolati nella comunicazione virtuale, incapaci
di cogliere fino in fondo il senso del nostro movimento. Così, ingoiati
dai flutti consolatori dello spettacolo, affannati a nuotare dietro a
falsi bisogni e a miraggi di ascensione sociale, siamo oramai incapaci
di afferrare la possibilità di un cambiamento reale. Per tornare a
farlo è urgente e necessario fermarci. Occorre farla finita col
naufragio di sé.

5- Bloccare tutto (dalla didattica alle strade) per rallentare la
corsa al profitto e riprendere fiato. Per riconsiderare il tutto da
un’altra prospettiva; quella che può scaturire dalla sorpresa, dallo
stupore per il piacere provato nel condividere con altri una libertà
inaspettata. Creare momenti di autogestione e di conflitto diffuso per
recuperare le forze e le idee prima di invertire la rotta.

6- Il blocco imprevisto e gioioso è uno strumento di provocazione.
E’ un mezzo per sabotare gli ingranaggi di un meccanismo sociale che ci
vuole indifferenti al mondo che ci circonda ed insensibili al nostro
intimo passionale.

7- Uscire in strada significa anche riappropriarsi degli spazi
urbani sottratti all’incontro. Per non chiudersi in ghetti e in
ideologie “studentiste” ma attraversare la città ed incontrare altre
istanze.

8- Al blocco della circolazione delle persone e dei saperi decretato
dall’economia, opponiamo il blocco dell’economia attraverso la libera e
selvaggia circolazione dei corpi e dei saperi. Come dire: se la loro
economia è orientata al saccheggio e alla distruzione del sapere, il
nostro sapere sarà orientato alla distruzione e al saccheggio
dell’economia.

9- Il blocco è solo uno dei mezzi. Non esiste una linea vincente ma
tante traiettorie possibili da esplorare. Lasciamo i canali di scolo a
chi rifluirà presto in forme di lotta compatibili. Lasciamo le fogne a
chi tenterà di cavalcare l’onda della protesta con l’unico intento di
portare acqua al proprio bacino politico.
Noi preferiamo il mare aperto.

L’unico imperativo oggi è quello di riprendere in mano il timone della nostra deriva

Milano, 29 ottobre 2008