Il marzo scorso, durante le rivolte nelle carceri italiane, 14 persone hanno perso la vita. Cinque detenuti, in un esposto alla procura di Ancona, denunciano pestaggi, vessazioni, torture e minacce da parte delle guardie. La lettera di un detenuto parla di reparti speciali che hanno sparato sui detenuti. Non crederemo mai alle versioni di istituzioni e giornali.
A gennaio di ques’anno, nel carcere di Varese un detenuto è morto in assenza di assistenza medica (dalle 18 alle 8 non è in servizio personale sanitario). Le proteste dei suoi compagni non sono mancate e dopo un paio di settimane, una rivolta ha danneggiato lo stesso carcere ed è stata sedata dall’intervento di 20 mezzi della polizia penitenziaria accorsi dai dintorni. Più di un giornale locale ha diffuso la grottesca e offensiva versione dei fatti secondo cui la rivolta sarebbe da ricondurre soltanto ad un televisore rotto.
Soltanto due mesi prima, i reclusi di Busto Arsizio avevano organizzato uno sciopero della fame per avere informazioni sul focolaio di Corona Virus, accelerazione nella valutazione delle misure alternative e colloqui telefonici giornalieri con i familiari.
La pandemia ci mostra il carcere per quello che è: un luogo dove le persone muoiono, ammassate in minuscole celle, senza cure mediche sufficienti, private dell’affetto dei propri cari, umiliate, picchiate e uccise dalle guardie.
NON LASCIAMO SOLI I DETENUTI!