LIBERTÀ DI MOVIMENTO PER I PROFUGHI E PER TUTTI I MIGRANTI
La vicenda dei profughi accampati alla stazione San Giovanni di Como
Dagli inizi di luglio alcune centinaia di donne e uomini provenienti dall’Africa – in fuga da guerre, fame e devastazioni ambientali -, dopo un lunghissimo viaggio in cui hanno subito umiliazioni e violenze di ogni tipo e rischiato la vita più volte, sono arrivate alla frontiera di Como/Chiasso per raggiungere, attraverso la Svizzera, la Germania o il Nord Europa.
Ogni giorno queste persone hanno tentato di passare la frontiera, ma sono state respinte sistematicamente dalle guardie di confine svizzere. Durante questo periodo si sono accampate alla stazione di Como San Giovanni dove hanno trovato la solidarietà di parecchi individui e l’assistenza di diverse associazioni.
Mercoledì 21 settembre è stato sgomberato l’accampamento, sotto la minaccia dell’intervento di decine di poliziotti in assetto antisommossa. I profughi, fin da quando è stato proposto loro il trasferimento nel campo governativo gestito dalla Croce Rossa e dalla Caritas, hanno sempre ribadito il loro rifiuto ad entrare nel campo e la loro volontà di proseguire il loro viaggio verso il nord Europa. Ma in seguito allo sgombero delle tende e al divieto della polizia di portare cibo e coperte in stazione, i profughi si sono ritrovati nellanecessità di avere un luogo dove dormire, mangiare e lavarsi. Si sono create così le condizioni per decidere chi ha il diritto di sopravvivere e chi solo quello di scomparire nella maniera più silenziosa possibile. Il ricatto“o vieni nel campo o muori di fame e freddo”, le minacce del prefetto e anche un po’ di scoramento hanno indotto molti di essi, circa trecento, ad accettare di entrare nel campo “di transito” governativo.
Varie decine di loro, però, non si sono piegate ai ricatti e alle minacce e hanno deciso di lasciare il campo, di riprovare per l’ennesima volta a passare il controllo alla frontiera svizzera o di andare fuori città.
Il sistema della cosiddetta accoglienza
Il ruolo della “accoglienza” gestita dalle istituzioni è quello di identificare più persone possibili e di confinarle in strutture chiuse, anche fino a due anni, dove vengono infantilizzate e rese passive, nell’attesa di una risposta, quasi sempre negativa, alla loro domanda di asilo.
Non è per nulla difficile comprendere come le persone che sono già passate nel circuito concentrazionario dei campi di detenzione amministrativa (i lager del terzo millennio), nelle sue varie forme, dagli hotspot alle strutture di “accoglienza” (Cara, Cas, Sprar), decidano spontaneamente di rifiutare di finire di nuovo in tali strutture. Infatti il loro obiettivo è quello di cercare una vita migliore in questa Europa cinta da frontiere invalicabili, muri e filo spinato, e non di rimanere incastrate nelle maglie del sistema della cosiddetta accoglienza. Oltretutto la stragrande maggioranza dei profughi, alla fine di un iter più o meno lungo, si ritrova con la domanda di asilo rifiutata e perciò in una condizione di irregolarità. In questo modo gli esseri umani cessano di esistere e diventano merci, deportabili o utilizzabili a seconda della richiesta: un esercito di braccia invisibili da sfruttare.
Rifiutiamo la visione moraleggiante che divide i migranti buoni da quelli cattivi, i profughi dai migranti economici, che seleziona soggetti idonei alla riproduzione del loro stesso sfruttamento dai soggetti devianti, insubordinati, di troppo.
Lottiamo per l’apertura immediata delle frontiere, contro la detenzione amministrativa (spacciata per accoglienza), contro le deportazioni e contro la selezione/differenziazione.
Lottiamo per un mondo senza frontiere, senza Stati e senza sfruttamento.
Tradate, 30 settembre 2016
KINESIS