Ancora uno sforzo…
“Ai dotti che diventano politicanti viene di solito assegnato il comico
ruolo di essere la buona coscienza di una politica”
F. Nietzsche
E la voragine si allarga, come ovvio. Perché non c’è nulla di strano nella
riforma universitaria che il “nostro” governo sta tentando di fare passare, pur
a fatica, fra le mille proteste degli studenti e dei docenti. Perché mai in un
mondo in cui sotto ogni aspetto della vita sociale vediamo acuirsi la
separazione fra le classi l’università dovrebbe restarne fuori? In nome di che
cosa la futura intellighenzia che l’università tenta di formare nello
specialismo dovrebbe essere esente dalle metamorfosi che coinvolgono tutto il
tessuto economico?
L’urgenza dei padroni delle nostre vite, di coloro che pretendono di
governarci, è quella di riuscire a continuare ad amministrare le nostre
esistenze, garantendo il mantenimento dei propri privilegi, possibilmente in
una pace sociale ormai impossibile.
L’università rappresenta il fulcro del domani. E il domani che abbiamo davanti
non è certo roseo, non è certo il migliore dei mondi possibile. Nelle
“fabbriche della conoscenza” il potere politico ed economico ha da sempre
cercato di forgiare i propri eredi, ha da sempre plasmato il sapere a propria
immagine e somiglianza. Poco contano le obiezioni, alquanto scontate, per cui
all’interno degli istituti scolastici vi persistano alcune menti illuminate e
non asservite, qualche docente dal libero pensiero a cui strappare un pugno di
nozioni indubbiamente utili nella costruzione di un coscienza critica. Vero,
sicuramente vero, ma la sostanza è che gli orrori quotidiani che milioni di
persone subiscono sono possibili grazie all’intellighenzia universitaria: è
nelle università che si studiano e si elaborano le conoscenze poi applicate
negli armamenti e nel controllo, è nelle università che nascono le teorie che
determinano l’innovazione delle carceri e dei sistemi coercitivi; è nelle
università che vengono vagliati i progetti urbanistici ed infrastrutturali che
devastano l’ambiente circostante, avvelenano gli uomini, delineano città tanto
degradanti quanto alienanti. Ancora, è dalle ricerche universitarie che vengono
varate le leggi sul lavoro, sulla famiglia, sulla salute. E’ lì, nella casa
della conoscenza, che abita “l’assassino”.
Allo stato attuale delle cose sarebbe totalmente ingenuo il pensare di
attribuire tutte le responsabilità del disastro sociale ad un pugno di politici
(per di più di scarso livello): il mondo moderno si fonda sulla tecnocrazia ed
è gestito dai tecnocrati.
In questo particolare momento in cui le granitiche certezze, per cui l’economia
monetarista si sarebbe dovuta espandere all’infinito, si rivelano nella realtà
un’allucinazione perversa che sta suicidando il mondo – scaraventandoci tutti
nella barbarie – diviene centrale per i poteri correre ai ripari. Meglio,
diviene urgente rattoppare la barca per farla stare a galla il più possibile,
anche se alla deriva, anche se ormai non è più possibile “tornare indietro.
Ecco allora che le riforme scolastiche in corso si rivelano per ciò che sono:
un minuscolo tassello di un grande cantiere alle prese con un palazzo dalle
fondamenta marce. Nessuno però a voglia di mettere in discussione il cantiere,
nessuno propone la demolizione del palazzo, ancor meno qualcuno vede la
necessità di progettare una casa nuova, a misura d’uomo.
La futura intellighenzia si comporta di già, consapevolmente o meno, come
élite. Assolve al compito per cui è stata così coscienziosamente educata negli
anni di studio. Essa è sterile perché protesta come gli hanno insegnato a
protestare, essa è separata perché ogni conoscenza ed ogni esperienza, per il
buon funzionamento della macchina sociale, devono essere specialistiche,
disgiunte, astratte dalla realtà e funzionali all’economia ed alla politica.
Mesi e anni. Uno stillicidio di violenze e soprusi, il totalitarismo che avanza
e prende forma in ogni ambito del quotidiano. E gli studenti? Nulla.
Operai morti ammazzati, denari estorti e finiti a finanziare guerre, povera
gente proveniente da altri luoghi più sfortunati rinchiusa in campi di
concentramento, ambulanti perseguiti da guardie armate di manganello,
“sognatori disperati” affogati nel mediterraneo, ragazze obbligate a vendersi e
ora a rischio di galera, famiglie sul lastrico, cure mediche sempre più
impossibili per i poveri… L’elenco potrebbe continuare per pagine e pagine. E
gli studenti? Ed i professori illuminati? Niente.
Ora hanno toccato l’élite! Not
in my backyard!
Ed eccoli a sfilare, a bloccare tutto, a gridare nelle strade. Per loro,
solo per loro.
Certo, hanno buona ragione ad indignarsi: il loro futuro è compromesso…
esattamente come quello di tutti. Certo, le attuali proposte di riforma
andranno, come si diceva, ad acuire ancora di più il divario fra le classi.
Sicuramente quello che è in atto e che purtroppo, presto o tardi, prenderà
piede è un modello sempre più “americano” in cui i pochi “lati utili” della
conoscenza universitaria andranno scomparendo per lasciare definitivamente lo
spazio allo specialismo imposto dalle fondazioni – che siano di carattere
economico (banche, industrie, società) o di carattere ideologico (chiese,
partiti, organizzazioni). In sostanza si passerà da un asservimento parziale
alla politica ed all’economia ad un asservimento totale; si passerà
dall’educazione cialtrona pubblica (in cui era almeno ancora possibile
“strappare” qualcosa) ad un’educazione strettamente funzionale all’impresa ed
all’ideologia.
In questa prospettiva potremmo dire che il peggio andrà ad aggiungersi al
peggio e di questo non c’è certo motivo di rallegrarsi. Essendo l’università
pilastro del funzionamento sociale è ovvio che la sua ristrutturazione è il
preludio di un ulteriore peggioramento delle condizioni generali, dal lavoro
alla cultura. Se si segue questo abbozzo di ragionamento diventa evidente che
le proteste di questi giorni sono un affare di tutti, un problema di tutti,
soprattutto una possibilità per tutti. Sta però agli studenti riuscire a
guardare un po’ più in là del loro naso, riuscire a capire che dallo loro
attuale battaglia finora condotta separatamente può nascere la possibilità di
una critica e di una pratica che vada a coinvolgere gli altri strati sociali di
fatto coinvolti.
Se guardiamo alla storia ci renderemo conto che le lotte studentesche sono
riuscite a determinare un mutamento solo quando hanno avuto la volontà di
rompere le compartimentazioni. In sé una lotta separata, oggi ancor più di
ieri, perde sul nascere il proprio significato e la propria potenzialità
offensiva.
Dalla venuta a meno delle compartimentazioni, guarda caso tanto care ai
partiti, ai sindacati ed ai padroni, possono scaturire mille possibilità, mille
incontri, mille esperienze che, ci auguriamo, avranno finalmente la capacità di
mettere in discussione il meccanismo, il cantiere, e non sterilmente solo un
tassello.
Allora, che dire? Forza studenti… ancora uno sforzo!
Genova, 16 settembre 2008
Alcuni amici di Franti
Fotocopiato in prorio, Università di Berkeley –
People’s park, 1964