Il 7 maggio del 2016 centinaia di persone parteciparono alla giornata di lotta al Brennero. Si ritrovarono in quella stretta valle con la necessità di contrastare una delle tante scelte scellerate da parte degli Stati: la costruzione di un muro al confine tra Italia e Austria per limitare ulteriormente la libertà delle persone, in particolare degli esclusi dalla Fortezza Europa.
In quei mesi, a seguito della chiusura della “rotta balcanica” ed in previsione del conseguente grande flusso di persone che dalla Libia alla Sicilia, proseguendo poi verso nord, sarebbero passate anche per il Brennero, lo Stato austriaco dichiarò l’intento di costruire un muro a “protezione dei propri confini”.
Lo Stato italiano invece, con la finta indignazione per la costruzione del muro, innalzava muri diversi, non fatti di cemento ma di controlli serrati in base al colore della pelle e di schiere di poliziotti con il compito di impedire agli immigrati di salire sui treni diretti al confine.
A 5 anni di distanza la vendetta di Stato, tramite il tribunale di Bolzano, ha colpito 63 compagni e compagne condannandoli a 37 anni in totale, con pene che vanno da qualche mese a 6 anni di carcere.
I reati contestati sono “danneggiamento”, “resistenza” e “concorso morale”. Le pene sono pesantissime e corrispondono, per le condanne più alte, a quelle previste per il reato di “devastazione e saccheggio”. Un vero accanimento, perché questo reato, infine, non è passato. (Questo reato, originario del codice penale fascista del 1930, prevede delle pene dagli 8 ai 15 anni di carcere ed è una delle armi più affilate che lo Stato sfodera quando gli oppressi tentano di alzare la testa. Basti pensare al suo più recente utilizzo contro i detenuti che si sono ribellati nelle carceri il marzo 2020 e ai rivoltosi che hanno animato le piazze italiane l’ottobre passato).
Esprimiamo la nostra più totale solidarietà ai compagni e alle compagne condannate per quella giornata di lotta.
Sono passati cinque anni e ancora oggi, mese dopo mese, centinaia di persone muoiono nel Mediterraneo, sui sentieri delle Alpi, nel “Game” balcanico e nei Lager Libici. Quelli che riescono a raggiungere l’Italia, vengono continuamente rinchiusi per mesi dei “Centri di permanenza per i rimpatri” dove a volte, finiscono pure per morire, come Musa Balde, ammazzato due giorni fa nel CPR di Torino.
Ogni giorno, vivono e muoiono da veri e propri perseguitati di un sistema che innalza frontiere e blocca le persone agevolando allo stesso tempo il passaggio e il correre sempre più rapido della merce.
Il capitale sopravvive se la merce corre. Se la merce corre la vita muore.
E necessario, oggi più che mai, riconoscere il ruolo di merce all’interno del sistema economico di tutti i flussi migratori.
Restituiamo dignità alla vita umana!
Sottraiamola al dominio del lavoro e del profitto!
Diffondiamo la solidarietà tra eguali.
Compagne e compagni della provincia di Varese