a partire dai nostri bisogni e dai nostri desideri
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Eugenio Montale
La catastrofe si avvicina. La catastrofe è già qui. La catastrofe è già nell’impossibilità di riuscire ad immaginare un mondo altro.
La catastrofe è nel moto perpetuo uniforme che ci guida dall’alba al tramonto in impieghi e svaghi prestabiliti: avanti con le code in macchina, con le resse nei supermercati, con lo svago consentito nelle discoteche più o meno underground. Un moto perpetuo uniforme di una vita che non abbiamo scelto in una società che non abbiamo voluto.
Anche i moti di spirito ci vengono ordinati: je suis questo, je suis quello. Tutti uniti, in fila per due, a marciare col nemico alla nostra testa. Il nemico è sempre alla nostra testa.
Le nostre città assomigliano sempre più a villaggi turistici: al posto dei braccialetti colorati ci sono i documenti, al posto delle attività ricreative ci sono gli aperitivi e le discoteche, tutta la nostra vita in cambio della sicurezza di una vita noiosa, grigia e prestabilita. Tutto deve fruttare il maggior guadagno possibile, è per questo che le nostre città cambiano in funzione del denaro. La città deve essere confortevole solo nella misura in cui ciò serva ad una maggior produttività.
Siamo talmente ciechi e sordi da non sentire le grida di aiuto di chi a pochi metri da noi decide di togliersi la vita, di chi rifiuta questa realtà e trova rifugio dove riesce, in una sostanza o nella propria testa.
Il rumore delle bombe e dei caricatori si fa più vicino, ma sono
decenni che il nostro produttivo quieto vivere esporta morte e sofferenza.
Disertare questo triste spettacolo significa cercare di bloccare gli ingranaggi su cui questa società si fonda. Partire dai nostri bisogni e desideri, per cercare di disegnare altre prospettive, per provare a percorrere nuovi sentieri.
La necessità di un tetto sopra la testa e l’occupazione come pratica diretta a soddisfare questo bisogno portano a legami e prospettive nuove: non sono più il denaro o la legge a dettare i rapporti, ma bisogni e desideri comuni. Un annetto fa a Saronno durante una fredda notte di presidio fuori da una casa occupata una signora condivise del the caldo e dei biscotti. Dove loro ci vorrebbero divisi e rinchiusi nelle nostre celle addobbate noi condividiamo il calore di un fuoco, della solidarietà e della complicità.
Uno sfratto, la disoccupazione, il dover pensare a dove recuperare il pasto, la solitudine non dovrebbero essere problemi individuali,
ma situazioni da condividere e affrontare insieme.
Come scrisse giustamente Scutenaire la disoccupazione è spiacevole perché non è completamente generalizzata.
Oggi occupiamo uno spazio abbandonato per poter sviluppare questi intrecci e questi rapporti, per coltivare e condividere il nostro rifiuto verso ciò che ci circonda, convinti che sia questo il primo passo verso un significativo miglioramento delle nostre vite.
Siamo consapevoli della precarietà di un’occupazione, siamo altrettanto consapevoli che la qualità di un’occupazione non si misuri con il cronometro alla mano ma dall’intensità dei battiti.
E se vi sgomberano? Di spazi abbandonati a Saronno ce ne sono parecchi, i rifugi dei ribelli sono precari per natura.
Ma la gente non capisce! La gente è una categoria astratta, noi negli anni abbiamo conosciuto diversi individui con cui abbiamo condiviso un pezzo del sentiero che abbiamo intrapreso. E’ nella condivisione e nel vivere attivamente la propria vita che abbiamo superato steccati, pregiudizi e ostacoli.
Quindi siete tornati? No, non ce ne siamo mai andati.
TeLOS
nuovamente in via Milano 17- era ora no?