Omaggio a Ripa83 e alla vita pirata

(notizie e aggiornamenti sullo sgombero di Ripa83 e sulla nuova occupazione in Via Savona)

Ti
svegli la mattina verso le 9.30, pensi che di lì a poco farai colazione
poi testa sui libri e poi al lavoro..di fianco a me c’è anche chi la
colazione non la fa, è in ritardo per andare a lavoro, prenderà
qualcosa al bar. Mi affaccio al ballatoio guardando giù verso il cortile, il cielo è
grigio, tira un po’ d’aria, qualche goccia, una giornata veramente di
merda.
Mi affaccio sulle scale centrali e saluto chi esce di casa con
cappellino e zaino.. l’unico sul ballatoio insieme a me, le altre case
sono ancora chiuse.
Pochi minuti in cui sgrano gli occhi assonnati e poi tra me e me mi
preparo a lavare i piatti rimasti lì dalla sera prima mentre faccio
bollire l’acqua del tè. Invece no, il mio sguardo cade sul ballatoio
del primo piano escono prima i cani, mamma e figlia, poi la loro mamma
umana urlando “Gli sbirri!! Ci sono gli sbirriii!! Tutti svegli!!”
Non capisco subito cosa succede, poco prima avevo visto una macchina
della Polizia Locale girare nella traversa lì accanto, forse parla di
loro. Invece no. Mi riaffaccio sulle scale e sento battere contro il
portone. Un rumore sordo, che sale le scale piano per piano e arriva
fino a me. Scorgo un cappellino che rimane nell’androne, arriverà in
ritardo al lavoro, e sento urlare “Chiudete i ballatoi!! I ballatoi!!”.
Corro in casa, prendo la chiavi, non ci penso un attimo di più e chiudo
il portone di accesso al ballatoio del mio piano, corro alle altre case
sbattendo su porte e finestre urlando che ci sono poliziotti ovunque.
Guardo in cortile, il cappellino è lì in mezzo e ha uno sguardo
sconsolato, triste. Sa, ha capito cosa sta per succedere. Torno lucida
in un lampo quando sento sbattere sul portone, guardo e un funzionario
della Digos con il casco in testa e il piede di porco in mano tenta di
forzare la serratura, a difenderlo e a controllare che non ci siano
disordini e pericoli per lui ci sono tantissimi celerini alle sue
spalle. Sono da sola, nessuno ancora si è svegliato. Devo aprire. Sono
troppi e in ogni caso riusciranno a entrare.
Così comincia la mia mattina di martedì, senza colazione e con tanti,
troppi poliziotti in casa. Quella casa che mi porterò dentro per tutta
la vita, con i suoi difetti, con i panni stesi come riesco, con il tubo
del gas da chiudere ogni volta, con il mobile sopra il lavandino su cui
prendevo testate quando lavavo i piatti sovrappensiero, ma anche quella
casa ricca di energia, gioia e libertà.
Libertà ovunque.
Libertà per tutti.
Libertà dove volevi.
Una casa che mi hanno portato via, ma che mai potranno togliermi.
Rimarrà sempre nei miei ricordi, nelle mie storie, nella mia vita.
Nessuno di quei 150 poliziotti, in borghese e non, mai potrà capire né
apprezzare la bellezza di una vita vissuta insieme ai tuoi compagni,
insieme a coloro con cui ti costruisci la vita e la strada per
camminare giorno per giorno. Abbiamo commesso un reato e come tali
andiamo trattati, il reato di desiderare una casa, un vita, un mondo
diversi da quelli che vorrebbero uomini e donne in doppio petto con
stipendi della madonna che ogni giorno scrivono pagine e pagine su
nuovi metodi per divorarci ormai anche le budella.
Ma ora che si guardi avanti. In nome di giustizia e legalità siete
riusciti a toglierci le nostre case, i nostri spazi, ma non ci avete
tolto l’energia che ci anima e noi andremo avanti, inseguendo un sogno.
Il sogno di una vita diversa da quella che vorreste voi, una vita che
starà alle nostre regole e alle nostre decisioni. Prese insieme, tra
noi e per noi.
Chiamateci illusi, ma non smetteremo mai di sognare.
Ci avete tolto uno spazio e ne abbiamo trovato un altro, accompagnati e
rafforzati dai sorrisi delle mamme con i passeggini che camminano sul
marciapiede lì sotto, dai portinai delle case di fianco, dagli
ex-inquilini sbattuti fuori da quegli appartamenti senza motivazioni
valide se non per farne l’ennesimo serbatoio di soldi e pubblicità e
dalla curiosità dei ragazzi che abitano, vivono e spesso subiscono il
quartiere del Design.
Ed è a tutti coloro che hanno deciso di premiarci con i loro sorrisi,
ma anche a quelli che non l’hanno fatto, che vanno i miei pensieri e le
mie speranze, perché hanno capito che non si stava compiendo nessun
gesto pericoloso né dannoso e l’hanno capito guardandoci per strada,
guardando le nostre facce e leggendo le nostre parole. Forse per quel
giorno hanno messo in tasca i giornali e hanno provato a guardare il
mondo con i loro occhi. E questo è il risultato.
Scrivono e dicono che siamo brutti, che siamo cattivi, che siamo pericolosi. Per chi? Per la gente? Perché?
Perché non vogliamo dare i nostri soldi alle banche e agli strozzini in giacca e cravatta?
Perché non vogliamo spaccarci il culo al lavoro per poi dare i nostri soldi a speculatori edilizi e riccastri con mille case?
Perché continuiamo a sperare in una società senza diversità basate sul colore della pelle e sulla lingua parlata?
Perché ci fa schifo l’essere considerati consumatori da spremere e sfruttare e non persone?
O forse perché rifiutiamo tutto questo in nome di un nostro stile di
vita, senza ridicole imposizioni che sono solo parole su pezzi di
carta, senza farci dire dove mettere i nostri soldi, dove abitare, con
chi parlare, cosa mangiare, come lavorare. Sì, forse per questo.
E allora io i pochi soldi che ho li condivido con i miei compagni,
trovo una casa sfitta e inutilizzata e me la rimetto a posto, parlo con
tutti quelli che hanno qualcosa da dirmi, coltivo l’orto per avere di
che mangiare e il mio lavoro lo regalo a chi ne ha bisogno, perché lui
un giorno avrà qualcosa da regalare a me.
E questa vita la difenderò.
Ora e sempre.
Libertà.