Venerdì
sera è morto dentro al carcere di San Vittore Mohammed El Abboudy. Alla
prima versione che parlava di un suicidio si è aggiunta l’ipotesi,
sempre formulata dall’Amministrazione penitenziaria, di un “incidente”
in cella con il gas di una bomboletta da campeggio. Ad ogni buon conto
i carcerieri hanno aperto una inchiesta e, da parte loro, gli
antirazzisti milanesi si sono attivati per tentare di capire la
dinamica dei fatti. Oggi come non mai, quando si parla di morti in
carcere, la diffidenza verso i racconti dell’Amministrazione
penitenziaria è d’obbligo.
Sta il fatto che Mohammed era uno dei 14 reclusi di Corelli arrestati durante la rivolta di agosto. Insieme ai suoi compagni di prigionia, dalle aule del tribunale, aveva rivendicato la rivolta, denunciato l’aberrazione dei Cie ed in particolar modo il ruolo di aguzzino assunto dell’ispettore-capo di Corelli Vittorio Addesso.
Fra un mese sarebbe dovuto uscire. “Uscire” come può uscire da un
carcere un uomo senza documenti, ovviamente: tornare in via Corelli.
Morto di carcere, dunque, ma anche morto di Cie. E
morto lottando, come testimonia il testo di questa sua lettera, inviata
ai solidali milanesi alla fine dicembre:
«Carissimi. Oggi
stesso ho ricevuto la lettera e i fogli di giornale, mi ha fatto
moltissimo piacere, così almeno riesco ad essere aggiornato sui fatti
attuali. Vi ringrazio di aver reso di pubblico dominio il mio caso. Anche se
mi sento fisicamente depresso sto bene. Come voi lotterò per la giusta
causa fino al mio ultimo respiro, contro gli sfruttatori di noi
proletari. Prima o poi la verità verrà a galla. Non possiamo che
vincere, sapendo che il prezzo sarà salato. Ma ne vale tutto il
sacrificio. Che dire
di questo governo razzista, senza idee per la gioventù, che, secondo
logica, è il futuro di ogni nazione. Senza giovani lavoratori non si
possono incassare le tasse, e senza tasse addio pensioni. Comunque nella mia prossima missiva sarò molto più esplicito e dettagliato a proposito del mio passato e della mia persona. Buone feste a tutti i ragazzi, auguri»
Alla notizia della morte di Mohammed, un centinaio di antirazzisti
milanesi si sono radunati sotto a San Vittore, improvvisando un
presidio molto sentito e rumoroso. Il prossimo appuntamento sarà già
martedì prossimo, con l’udienza del processo per i fatti di Corelli del 7 novembre.
Ascolta l’intervento di Fabio, del Comitato antirazzista milanese su http://www.autistici.org/macerie/?p=24163
Comunicato del Comitato Antirazzista, dopo il presidio di San Vittore
Circa 100 comapgni/e si sono ritrovati sotto il carcere di S.Vittore per dare una risposta immediata alla morte di Mohamed El Abouby, uno dei protagonisti della rivolta di agosto in via Corelli.
Gli slogan e una presenza rumorosa, cui hanno contribuito fortemente i manifestanti di ritorno dalla manifestazione di Livorno (proprio contro le morti nelle carceri e nelle strade per mano della violenza statale), hanno suscitato la risposta solidale di molti detenuti..
Nel frattempo è partito un ping-pong mediatico sulle cause del decesso con servizi in TV, giornali e radio locali.
L’ipotesi inzialmente più accreditata, quella del suicidio (che non ha nessun tipo di presagio pensando alle lettere di Mohamed con cui eravamo in corrispondenza stabile) viene contrastata da quella di un incidente che sembra esserre alla base dell’inchiesta voluta dal procuratore generali delle carceri, così come traspare da un articolo di Repubblica sulle pagine locali milanesi (lo trovate qui: http://milano.repubblica.it/dettaglio/articolo/1830947).
Noi ribadiamo che, in fondo, importa poco quale sia stata la dinamica effettiva; ma quel "poco" è sempre molto più di "niente" e ci induce ad attivare i canali a disposizione per far chiarezza anche su questo aspetto; (per capirci: si può escludere del tutto una terza ipotesi, la più scomoda di tutte?).
Comunque ciò che importa davvero è il fatto che il razzismo di stato, prima ha rinchiuso Mohamed e i suoi compagni dentro il CIE, poi li ha incarceraati a S.Vittore, infine li ha condannati senza possibilità di appello (questo è il ruolo della custodia cautelare applicata a piene mani, in particolare contro gli immigrati, anche per condanne di lievissima entità); ed infine lo ha ucciso.
Quanto basta cioè per parlare apertamente di omicido di stato, in piena sintonia con la manifestazione di oggi a Livorno, tanto da indurre la stessa RAI 3 a rendere esplicito questo tipo di collegamento.
Concludiamo infine sull’appuntamento del 19 gennaio in Tribunale a Milano.
Spinti da un sentimento contrapposto a qualsiasi senso giustizialista, ci sentiamo comunque in dovere di fare l’ennesimo appello alla mobilitazione in occasione del processo contro altri quattro immigrati accusati di violenza e resistenza all’interno di Corelli. Vogliamo onorare, anche in questo modo, la memoria di Mohamed, uno che col suo coraggio, proprio in quell’aula si scagliò verbalmente contro l’ispettore-capo del Cie di Corelli (il poliziotto Vittorio Addesso), a sostegno delle prigioniere che ne avevano subito le molestie, dimostrando tutto il valore concreto della solidarietà attiva, e pagandone infine il prezzo con la propria vita. Quasi sempre, nella lotta, non è questione di idee ma di numeri.