LA GUERRA PARTE DA QUI, OGNI GIORNO
“A febbraio è scoppiata la guerra”, “da febbraio siamo in guerra”, “erano settant’anni che non scoppiava la guerra”. Queste tre affermazioni sono state ascoltate, pensate, dette a vario titolo un po’ da tutti. E sicuramente contengono al loro interno una parte di verità. La parte che invece non viene mai detta è ciò che accade in tempo di pace. Crediamo di poter dare per assodato che la guerra assommi su di sé e riproduca una violenza indiscriminata, un uso del terrore che schiaccia la popolazione, politiche straordinarie e speciali che sospendono i diritti in virtù della difesa della sacra patria, il nient’affatto velato clima di odio nei confronti dei disertori e di chi non se la sente di combattere la guerra altrui. Ma il clima bellico non è qualcosa che riguarda esclusivamente la guerra, è qualcosa che lo Stato ha bisogno di cullare quotidianamente. Non a caso, ogni anno, nella democratica e pacifica Italia, tutte le scuole di ogni ordine e grado sono chiamate a festeggiare il 4 novembre le forze armate, con conseguente asfissiante retorica patriottica. Non a caso a gestire la pandemia per lo Stato è stato chiamato un Generale. Ma non esiste solo l’aspetto ideologico e di indottrinamento. C’è anche il perpetuo guerreggiare degli Stati, in continua rivalità tra loro per accaparrarsi il limitato quantitativo di risorse energetiche per poter guadagnarsi – con la guerra, coi morti, con la devastazione di intere zone di territorio una fetta nel mondo che conta, una fetta di futuro. Naturalmente non si parla di una fetta di futuro per la popolazione, ma per l’élite economica e sociale del tal paese. Non a caso la stessa Italia ha guerreggiato in diverse parti del mondo nell’ultimo decennio, e quasi sempre accompagnando l’Eni nelle sue colonizzazioni. Di più: in ogni giorno di presunta pace lo Stato italiano spende 104 milioni euro al giorno per spese militari, equivalente a 148 mila ricoveri in ospedale, 46676 terapie intensive, e potremmo proseguire con altri paragoni con altre voci delle spese del welfare. Per non parlare della produzione di armamenti, che ci vede tra le grandi potenze mondiali. Per non citare, infine, il nostro ruolo in quanto membri della Nato, trovandoci al confine del territorio atlantista, in diverse zone della penisola (e non solo, si pensi alla Sardegna letteralmente militarizzata dalla Nato) ospitiamo contingenti e armamenti di controllo, come il Muos a Niscemi, in Sicilia.
Non riusciamo a considerare pace quei periodi di latenza in cui esportiamo materie prime da altri territori senza dover uccidere nessuno, non riusciamo a considerare pace la continua e incessante produzione di armamenti, non riusciamo a considerare pace l’esistenza di uno Stato che per sua stessa natura è una piovra che tutto prende e nulla dà.
Contro la guerra, contro la finta pace che arma le future guerre, contro la politica e l’economia che governano il mondo, che saccheggiano e devastano, che uccidono, che mandano sul lastrico miliardi di esseri umani nel nome del profitto, nel nome della difesa del privilegio di pochi, pochissimi. Nell’attesa di una sempre più insperata presa di coscienza collettiva, non ce la sentiamo di rimanere con le mani in mano, ci sentiamo di fare il nostro, tanto o poco che sia. Fermare la guerra qui e ora, a partire dal territorio in cui viviamo, infestato di fabbriche di armi (Rotodyne a Saronno, Aerea a Turate, Alenia a Venegono) e di basi militari (base Nato a Solbiate Olona), a partire dalle politiche del nostro Stato, che a fronte di un colonialismo energetico in politica estera, vuole seppellire a colpi di anni di carcere Alfredo, recentemente sottoposto al regime di 41bis nel carcere di Sassari, e Juan, per il quale la richiesta del PM è di 28 anni per alcune azioni contro le sedi della Lega. Dietro queste accuse e questi inasprimenti di pena si nasconde il grande monito a tutti gli sfruttati e a tutte le sfruttate: “guai a ribellarvi, ve la faremo pagare”. Nel frattempo a pagare a caro prezzo i costi di una speculazione planetaria è sempre la popolazione, sottoposta a un carovita vertiginoso che comprende sia i carburanti sia i beni di prima necessità.
È oggi più importante che mai ritrovarsi e leggere in profondità la situazione, perché ogni posizione urlata dal meanstream (mass media o social network che sia) non è altro che la posizione del capitale e dello Stato. Volgiamo altrove lo sguardo, ci accorgeremo di quante cose potremmo fare, di quante cose potremmo dire.
Contro la guerra e contro la pace dei padroni, per la solidarietà tra popoli.
Assemblea contro la guerra Saronno