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Kinesis Tradate: I disertori della società civile non hanno nulla da chiedere.

By rexist on 21/07/2021

20 anni fa, venne scritto il testo che segue. Stampato in 14000 copie, fu diffuso durante le giornate contro il G8 di Genova. Molto è stato detto e dovrà essere detto in futuro, perché quelle vicende continuino a far parte della nostra narrazione che è “di parte”, poiché scegliamo da quale parte stare. Non solo passato ma anche presente di lotta; discorso in-finito, come infinite sono le possibilità del dipanarsi rivoluzionario.

Ieri, oggi, sempre. Disertori.

Kinesis Tradate, 20 luglio 2021

«Così, cercando di uscire dall’isolamento e di incontrare nuovi alleati, si finisce con il confondere l’organizzazione di una rete di contatti propria con la riproduzione di quella allestita a tutela del rapporto sociale dato. Si trovano, è vero, appoggi e consensi, e si ottiene in “tempo zero” una visibilità diffusa; ma intanto tutto il resto, che è poi quello che conta, il senso della comunità umana, va perduto. Il “realismo politico” cancella, con un colpo di spugna, il senso del reale, e qualunque buona idea si perde nei meandri delle necessità pratiche dettate da un tempo quasi storico che solo le illusioni scellerate di questi dirigenti della dispersione nei labirinti del potere possono far pensare che rimanga in qualche modo legato all’irreversibile rottura con il tempo ciclico avvenuta alcuni secoli or sono.

Limitarsi a chiedere, per essere meglio compresi, di mutare la morte del pianeta nel suo coma irreversibile, non è forse confondere la vittoria con la capitolazione?

E allora perché farlo?»

Quattrocentoquindici, Hegel a Cuneo

NULLA DA CHIEDERE

Del G8 e di tutti quelli che vorrebbero dialogare con lui non ce ne frega niente, perché francamente, non abbiamo nulla da chiedere. Nulla da chiedere perché questi 8 pagliacci non ci pare possano far altro che blaterare di cose in materia di democrazia, che per la verità si decidono altrove e sono decise da altri; anzi, ad essere pignoli non le decide nessuno.

L’artificializzazione della vita attraverso la manipolazione genetica, le catastrofi climatiche, l’immiserimento di masse sempre più vaste di popolazione umana, il mercato del lavoro sempre più “mercato” sono innanzitutto il prodotto del movimento del capitale, che inteso come sintesi inalienabile di tutti i rapporti sociali, fonda ogni istante della nostra vita. Tutte le classi politiche al più si adeguano ai diversi movimenti, istruendosi ben bene; un po’ di solidarismo, poi un po’ di liberalismo ma dal volto umano, e via dicendo…

Nulla da chiedere perché siamo svegli e con gli occhi bene aperti. Una riduzione delle emissioni inquinanti di un sistema industriale per sua natura devastante? Un po’ più di umanità nello sfruttamento che in sé è disumano? Le etichette sui cibi transgenici in un mercato alimentare che è del tutto snaturato così come snaturati sono nel complesso la nostra alimentazione e il tempo e il ritmo della nostra vita? Un po’ di “beneficenza globale” per ridurre la sottoalimentazione, la miseria, quando questa miseria è alla base stessa del nostro sistema così come lo è la violenza dei rapporti sociali e persino delle relazioni interpersonali? O ancora, un po’ meno razzismo quando la divisione tra proletari di diversa provenienza (divisioni etniche, nazionaliste, comprese quelle di “sinistra”) è la garanzia dell’impotenza di questa classe?

Nulla da chiedere perché non vogliamo rivendicare una cittadinanza universale, globale, remunerata o soggetta di diritti perché la cittadinanza è stata una delle prime menzogne, dal 1789 in avanti, prodotte dalla falsa coscienza borghese, che celebra un individuo astratto, atomizzato, chiuso nell’egoismo osceno della solitudine, amplificata oggi dai possenti mezzi di comunicazione che proprio sulla distanza creano le loro migliori performances.

Nulla da chiedere perché coloro che si sono mossi da Seattle in poi possono dare un senso al loro mobilitarsi solo se si andrà all’essenza dello scontro che oppone il capitale al pianeta, e all’umanità.

Cosa fare? Ora come ora non sappiamo rispondere, non vogliamo rispondere. Certo costruire ove è possibile, nei limiti del possibile situazioni di conflitto e percorsi di conoscenza. Ma è poco e non basta ad eliminare il senso di impotenza che come individui separati siamo costretti a vivere.

Però…

Avere almeno lo stomaco per dirlo, senza nascondersi e soprattutto senza rifugiarsi nel militantismo delle illusioni; finché coloro che non sono padroni di nulla non sceglieranno di non essere servi di nessuno, sbarazzandosi di ogni mediazione, non vi sarà alcuna possibilità di contrastare quel cadavere che cammina che è il capitale.

Tutto quello che per ora possiamo fare è sputare in faccia ai “grandi” la nostra feroce voglia di vita, la nostra insopprimibile umanità, rifiutando di assumere come nostri i valori dell’ideologia borghese dominante, anche se si presentano in forme democratico-radicali o con espressioni che suonano più moderne; ma sì, che diamine! Basta con i proletari, Il comunismo, ecc., è molto più “à la page” la moltitudine, la cittadinanza, i diritti e via verso il futuro. Peccato che tale armamentario sia alquanto vecchiotto ed i funzionari del capitale nel frattempo si sono fatti molto più furbi di noi, e anche se il capitale avesse imboccato la via dell’implosione è anche molto bravo a presentare la minestra riscaldata e aggiornata della propria funzione storica “rivoluzionaria”, e qualcuno che abbocca lo trova sempre.

«C’è un detto che dice che non si dovrebbe soltanto demolire, ma anche saper ricostruire; un luogo comune, questo, costantemente addotto da persone alla buona e superficiali, quando si deve affrontare il fastidio di un’attività di riordino. Questo detto è appropriato quando si concorda superficialmente su qualcosa o la si nega, perché si segue un irragionevole inclinazione; ma altrimenti è incomprensibile. Infatti non sempre si demolisce per poi di nuovo ricostruire; al contrario, si demolisce con vera sollecitudine per ottenere spazio libero per luce ed aria, che pervadono da sole ogni luogo quando un oggetto ingombrante è stato portato via.»

G. Keller, Der grune Heinrich

E di luce ed aria abbiamo più che mai bisogno, dal momento che ogni ambito dell’umana vita è un affastellìo ingombrante di paccottiglie mercantili; dove la tecnologia (il discorso sulla tecnica), che non è mai neutra ma strettamente legata alle esigenze di chi la concepisce, è funzionale alla borghesia; dove la natura, l’immensa complessità biologica col suo infinito – perché dialettico – corollario di interazioni, viene ridotta, previa astrazione matematica, a merce prima e “risorsa” poi; dove la desertificazione delle coscienze, la mistificazione della storia e il saccheggio del globo sono il solo pane quotidiano con cui possono nutrire ciò che ci viene propinato come progresso.

Apparecchiando sulle nostre tavole una lunga serie di opzioni preconfezionate e posticce – che differenza c’è tra un viaggio alpitour e una navigata in internet? – ci lasciano credere di essere liberi, quando in realtà avvelenano la nostra vita (in tutti sensi) e dirigono i nostri passi.

Bollando come utopico o superstizioso ogni tentativo, passato presente futuro, di leggere l’esistenza a prescindere dal mero calcolo economico, vogliono spacciare questo sistema come l’unico possibile. Imponendo soluzioni di volta in volta più audaci (dalla chimica di sintesi alla manipolazione genetica) ai problemi causati dal modo di produzione industriale – sul quale si basa il loro concetto di sviluppo, tentano caparbiamente di negare il rapporto inseparabile dell’uomo con la natura e con le sue delicate dinamiche.

Va da sé che né la quantità né i surrogati possono restituirci il senso della nostra esistenza perduto in mille separazioni, e che l’assoluta mancanza di qualità così come l’ineludibile catastrofe in atto stanno lì a certificarlo pesantemente.

Tutto un sistema che non ha mai allungato il naso oltre l’estratto conto bancario, si è globalizzato pretendendo di metterci tutti al lavoro all’interno dell’apparato di produzione e riproduzione. Perenni schiavi col tempo parcellizzato e contato, perennemente funzionali – anche quando siamo in ferie o facciamo compere, quando ci ammaliamo e ci curiamo, facendo la doccia o la separazione dei rifiuti, viaggiando catalizzati con la benzina verde, olio di colza o idrogeno, col mouse fra le dita e gli occhi fissi nel video – complici o coartati affoghiamo nel mare tranquillo dell’abbondanza dozzinale dove, all’interno del quadro dato, può coesistere di tutto e di più, e il suo contrario naturalmente.

Insomma un nauseabondo minestrone dove gli squali del neoliberismo d’assalto chiamano flessibilità l’affamare a fasi alterne la manovalanza asservita, seguendo i flussi delle borse e dei mercati: che di privatizzazione in privatizzazione (nel tentativo di riorganizzare lo Stato adeguandolo alle nuove esigenze del dominio) socializzano la miseria inginocchiando intere comunità in mezzo al libero mercato delle loro monopolizzanti merci. Una brodaglia dove, sopra gli squali, galleggiano allegramente i riciclatori di turno, coloro che teorizzano e praticano lo “sviluppo sostenibile” ovvero “compatibile” con la vita organica di questo pianeta, che poi di fatto sarebbe l’ennesimo cambiamento di forma che lascia immutata la sostanza: vogliono rendere l’uomo compatibile allo sviluppo delle merci, atto all’appiattimento globalizzato, idoneo come cavia alla sperimentazione tecnico scientifica… così compatibile da diventare esso stesso merce o, meglio, una “risorsa umana”, appunto!

Una gelatina appiccicosa dove a guardar bene, puoi vedere guaritori omeopati che vanno a braccetto con spacciatori di chemioterapia; estemporanei esperti di meditazione alla ricerca dell’unità perduta, che si recano puntualmente ogni mattina nel loro studio da commercialista; governi di sinistra partecipare attivamente a massacri “umanitari”; pretesi antagonisti che, da perfetti idioti o disgustosi infami, si dedicano sistematicamente al recupero del dissenso… e via di seguito sino ad un sicuro, per chi ancora conservi un briciolo di umanità, conato di vomito.

«L’età capitalista è più carica di superstizioni di tutte quelle che l’hanno preceduta. La storia rivoluzionaria non la definirà età del razionale, ma età della magagna. Di tutti gli idoli che ha conosciuto l’uomo, sarà quello del progresso moderno della tecnica che cadrà dagli altari col più tremendo fragore.»

Amadeo Bordiga

Il crollo spontaneo di un sistema che da duecento anni macina, mistifica o cancella ogni sapere e ogni pratica potrebbe rivelarsi nefasto per la specie femino-umana. Arrabattarsi alla meglio proponendo correttivi o limitazioni alla sua intrinseca disumanità, nel tentativo di accomunare l’inconciliabile, continua a rivelarsi demente.

Mentre diventa sempre più impellente sbarazzarsi del capitalismo tout-court, questa cosa ormai così ingombrante da soffocare chiunque, così bene mimetizzata dietro le sue discipline, le sue specializzazioni, le sue separazioni e i suoi distinguo da non poter essere più nominata; sbarazzarsi dei condizionamenti che abbiamo così interiorizzato da credere che senza la sua corte di burocrati dell’esistente – dai ricercatori ai chirurghi, dagli architetti agli urbanisti, dagli ingegneri ai ragionieri, dai professionisti della politica agli apprendisti stregoni del dissenso, etc. – non potremmo sopravvivere un solo minuto se non ne la barbarie… come se non ci fossimo già.

Diventa sempre più necessario portare la critica alla radice del disastro per cercare di elaborare e porre in pratica metodi di lotta che vadano in direzione di una liberazione reale.

Che senso ha lottare per un’equa ripartizione della ricchezza prodotta se si accettano in pieno gli assunti che ormai sottendono a tale termine? Se non ci si interroga a fondo su che cosa sia per noi veramente la ricchezza? Se non si è disposti a riconoscere come nocivo e insensato ciò che, in qualsiasi modo lo si rigiri, basa la sua esistenza sull’amministrazione controllata del mondo e di tutte le dipendenze che essa produce? Che farsene, tanto per continuare con gli esempi, del salario di cittadinanza quando è palese che si tratta solo di un modo diverso per renderci funzionali?

Sempre meno produttori e sempre più consumatori, questa è la dinamica in atto nei paesi occidentali imposta dal continuo espandersi del capitale… qualcuno deve pur consumare forsennatamente le sue merci.

E ancora, non è forse una vittoria di Pirro la battaglia legale vinta dal governo del Sud Africa contro le multinazionali farmaceutiche?

Il fatto che in alcune regioni di questo mondo globalizzato venga affidata la produzione di farmaci brevettati a imprenditori locali, siano essi statali o privati, non intacca minimamente il processo di saccheggio della natura umana, questo meccanismo nefasto che ci porta a consegnare acriticamente il corpo umano nelle mani di prezzolati specialisti della salute, rinunciando di fatto ancora una volta, ad una elaborazione in proprio (meglio in compagnia) di un concetto di salute/malattia capace di ricomporre l’unità col nostro corpo, di riconoscerne i bisogni strettamente connessi ai desideri e irrimediabilmente inconciliabili all’idea, totalmente astratta, dell’uomomacchina/risorsaumana così cara al dominio.

Per finire conviene sgomberare il campo da fraintendimenti: se dal tono generale questo documento potrebbe sembrare la peregrina visione di ossessionati dalla paura da millenarismo tecnico-scientifico, in realtà, purtroppo, è solo il tentativo disincantato e per niente fatalista di leggere il movimento del capitale e le sue ricadute, “affinché l’insignificanza non abbia anche questa volta il monopolio della parola, e coloro che non hanno niente da dire non siano come al solito i soli ad esprimersi”.

Per cercare finalmente dì forzare l’annosa impasse delle lotte uscendo così dall’antagonismo virtual/spettacolare “per andare incontro al mondo delle necessità concrete, delle realtà tangibili, sulle quali si può agire in prima persona” iniziando dal riconoscere e dal nominare le catene da cui dobbiamo liberarci.

I disertori della società civile

Kinesis, Tradate

Sintesi Sociale, Seregno

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Posted in Approfondimenti, Comunicati e volantini | Tagged G8, Genova 2001, Kinesis, Storia del movimento rivoluzionario

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