SABATO 23 SETTEMBRE ore 15, PRESIDIO CONTRO I FOGLI DI VIA
Piazza Mazzini TRADATE (VA)
Sabato 9 Aprile una cinquantina di antifascisti/e hanno impedito a Forza Nuova, riciclatasi per l’occasione a sostegno della lista “Movimento Etica”, di diffondere
la sua nefasta propaganda fascista. In seguito vengono notificati cinque fogli
di via dal comune di Tradate ad altrettanti antifascisti presenti quella mattina.
Che sia chiaro: NOI DA QUI NON CE NE ANDIAMO!
– Tradatesi contro ogni forma di razzismo e fascismo
– Kinesis Tradate
Contatti: maipiufascismo@gmail.com – resist.noblogs.org
CINQUE FOGLI DI VIA DA TRADATE
Col foglio di via vengono colpiti, oltre alla marginalità sociale (venditori ambulanti, questuanti, zingari, senza fissa dimora, prostitute e immigrati), soprattutto gli oppositori politici e sociali.
L’obiettivo è di allontanare dai territori e dai contesti di lotta tutti quegli elementi che vengono ritenuti scomode presenze. Nella zona del varesotto e comasco si registrano una quarantina di foglia di via emessi negli ultimi anni sia dalla città di Saronno (in seguito a occupazioni, manifestazioni e così via) che in seguito ad altri episodi di tensione come successe a Lomazzo in occasione della contestazione a Salvini e in stazione San Giovanni a Como la scorsa estate durante le proteste contro lo sgombero del campo autogestito da migranti e solidali. Recentemente, dopo il decreto Minnitti in materia di sicurezza urbana, abbiamo assistito a un proliferare di fogli di via, elargiti ad ampie mani coi motivi più futili, ed infatti eccoci qua: anche a Tradate ne sono stati notificati 5, con la motivazione di aver impedito ad esponenti di Forza Nuova di propagandare alla cittadinanza tradatese la guerra tra poveri come soluzione ai problemi sociali. In questo caso i provvedimenti li leggiamo come una vendetta da parte della questura di Varese che ha punito “chi si è permesso” di intralciare dei fascisti. Evidentemente la vocazione antifascista, che per i sinceri democratici dovrebbe caratterizzare questa repubblica sventurata nata dalla resistenza in armi dei partigiani, è solamente un sottile velo di ipocrisia, tolto il quale si cela un subdolo autoritarismo democratico, uno stato di polizia 2.0. Di fatto lo Stato dall’approvazione del decreto Minniti ha accelerato il processo di normalizzazione dell’emergenza in cui il cittadino viene indotto a ricercare una parvenza di sicurezza, tollerando e facendosi promotore di nuovi ed efficienti strumenti repressivi.
“Non servono kamikaze o camion lanciati sulla folla, esplosivi o mitragliatrici. Basta la somministrazione quotidiana di “cultura” della sicurezza, pratica della diffidenza, abolizione a grandi piccole picconate quotidiane della razionalità. L’altro è il pericolo: che venga da lontano, che sia vestito di nero, che concorra allo stesso posto (sottopagato) di lavoro, che dorma in una stazione, che si accampi in qualche luogo dimenticato da dio perché non ha un tetto. L’altro è lo strano essere che genera la “percezione di insicurezza”, su cui si fondano oggi leggi liberticide.”*
Insomma, sostanzialmente maggiore è il senso di onnipotenza che pervade i difensori dell’ordine costituito ossia forze dell’ordine e fascisti, maggiore saranno, da una parte il controllo e la repressione spacciati per sicurezza e misure per il rispetto della legalità e dall’altra la presenza dei fascisti che intensificheranno attività nei territori spacciandosi da forza politica antisistema ma pur sempre ponendosi a paladini indiscussi della ragion di Stato.
Viviamo tempi duri e nel lungo termine non si prospettano tempi migliori, ma non assisteremo indifferenti al riorganizzarsi e al diffondersi di organizzazioni, più o meno dichiaratamente, fasciste o naziste; non consideriamo la legalità un parametro di criterio alla base delle azioni che compiamo, perciò ci opponiamo e ci opporremo con forza continuando ad ascoltare esclusivamente la nostra coscienza.
* testo apparso su Internet in seguito agli incidenti a Torino durante la finale di Champions League.
Il fascismo in Italia si è impegnato particolarmente a perfezionare e inventare norme ancora oggi vigenti le quali stabiliscono dove una persona possa stare o meno, il quando e il perché.
Il nostro Codice Penale, infatti, ha mutuato dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1926, quelle che si chiamano “misure di prevenzione di polizia”, ovvero quelle misure che colpiscono sulla base del solo sospetto di “pericolosità sociale”: misure amministrative, decise dalle questure, che non necessitano per forza della commissione di un reato.
Nel caso del foglio di via obbligatorio, si tratta di un provvedimento emesso dal Questore che ha durata fino a 3 anni ed ha valore dal momento della notifica e riguarda anche il semplice transito nel comune dal quale si è stati cacciati. Per chi viola il foglio di via e viene trovato sul territorio del comune dal quale è stato espulso, la pena prevista va da uno a sei mesi di carcere.
Il foglio di via non è una semplice misura limitante la mobilità di chi ne è colpito, ma va ad inficiare anche altri aspetti basilari della vita quotidiana che interessano il campo affettivo oltre a quello politico, denotandosi come un vero e proprio attentato contro la libertà individuale. Il provvedimento è in rapida e continua espansione, data la velocità del provvedimento e dalla difficoltà di difendersi da accuse che si basano su presunzioni di pericolosità motivate arbitrariamente visto che, al contrario delle denunce che devono essere avvallate in sede penale, le misure di prevenzione di polizia non hanno bisogno di una ratifica processuale ma vengono adottate con semplice firma del questore.
Contro il provvedimento è possibile fare ricorso al Prefetto oppure al TAR (situato nel capoluogo di Regione) e in ultima istanza al Consiglio di Stato. Molti sono scoraggiati dall’aspetto economico: solo il bollo che serve per fare ricorso al TAR costa oggi circa 700 euro, mentre le persone a cui le questure applicano queste misure sono comunque quasi sempre non possidenti. Inoltre gli esiti del ricorso sono sempre dettati dall’enorme discrezionalità del Prefetto e del giudice amministrativo.