Di fogli di via, accanimento poliziesco, limiti e barriere

COSÌ È (SE VI PARE)
di fogli di via, accanimento poliziesco, limiti e barriere

Prima di iniziare questa lettera ci tengo a spiegare cosa mi ha portato a scriverla.
La repressione non sempre è deportazioni e pestaggi in pubblica piazza, spesso è più sottile, visibile solo ad un occhio sensibile e allenato. Affinchè questa piccola storia di repressione sia invece alla portata di tutti ho deciso di renderla pubblica, omettendo semplicemente alcuni aspetti strettamente personali e familiari. Scusatemi se non sarò né breve né conciso, ho bisogno di raccontare per bene la vicenda.

E ora veniamo ai fatti.
Un mesetto fa mi viene notificato l’avvio di procedimento del foglio di via obbligatorio dalla città di Saronno. Si tratta di una delle cosiddette misure di prevenzione di cui dispongono le Questure. In soldoni con il foglio di via si vieta al soggetto indesiderato di fare ritorno nel Comune in cui si ritiene svolga attività delittuose per un massimo di tre anni.
Il foglio di via è una misura del tutto arbitraria e poliziesca, come l’avviso orale, perché la Questura può decidere di darlo senza dover passare dalla convalida di un giudice. La violazione del foglio di via comporta una denuncia, che a sua volta a processo può portare a una condanna di qualche mese (secondo il codice penale da 1 a 6 mesi) di arresto. Oltretutto si tratta, se rispettata, di una misura particolarmente afflittiva e fastidiosa, anche perché l’eventuale primo ricorso viene presentato allo stesso Questore che ha deciso di allontanare il soggetto in questione (mentre i passi successivi, cioè Prefetto e poi TAR, hanno tempi lunghi e sopratutto costi esorbitanti).
Ed è questo il mio caso.
Dopo aver ricevuto il foglio di via mi sono subito attivato nella rete di conoscenze che ho sul territorio per presentare un ricorso che riassumesse 28 anni di vita nel saronnese.
Infatti, caso particolare, io abito dalla nascita a cento metri in linea d’aria dal confine tra Ceriano Laghetto e Saronno, e quindi sin da piccolo ho gravitato su Saronno per motivi familiari (ho diversi parenti residenti a Saronno, dai nonni al cugino), educativi (ho frequentato a Saronno il liceo scientifico GB Grassi), affettivi (abitano a Saronno moltissimi amici ed amiche che ho conosciuto negli anni), di salute (l’ospedale di Saronno è a meno di un km in linea d’aria da casa mia, va da sé che sia l’ospedale di riferimento, dove tra l’altro in questi giorni avrò una visita specialistica prenotata da mesi), di cultura (ho frequentato assiduamente la biblioteca civica, il teatro, i cinema, la libreria Pagina 18, gli eventi culturali organizzati dall’Isola che non c’è, dal movimento Acqua Bene Comune), sportivi (ho giocato nella società calcistica locale Robur Saronno e lo scorso anno mi sono allenato tutto l’anno al centro sportivo di via Sampietro), di movimento (frequentando l’università di Milano, ma in generale il capoluogo o altre città della zona mi è necessario prendere il treno, e Saronno è uno snodo imprescindibile per lo spostamento nella nostra zona) e altro ancora.
Nel ricorso ho specificato e dimostrato come nell’ultimo periodo in particolare abbia spesso aiutato i miei nonni che essendo ottuagenari e con invalidità certificata hanno ovviamente bisogno di aiuti concreti (motivazione già di per sé sufficiente, dato che ha portato all’annullamento del foglio di via nei confronti di una ragazza anch’essa residente fuori città ma con i nonni residenti a Saronno), e come abbia assiduamente aiutato nello studio durante l’anno scolastico mio cugino iscritto in prima media.

Tuttavia, dopo aver interrogato, nel mesetto abbondante a disposizione, due miei parenti riguardo il mio effettivo aiuto in famiglia e la mia presenza in città, nei giorni scorsi, come prevedibile, mi è arrivata la risposta del Questore Ingrassia di Varese. Trascrivo in particolare la parte con cui viene liquidato il ricorso in questione:

ATTESO che le memorie difensive, presentate da XXXXX Matteo, in questi Uffici, in data 01.06.2016, non sono state ritenute idonee a modificare il giudizio espresso;

ACCERTATO che XXXXX Matteo non risiede in Saronno (VA), che in quel Comune non espleta alcuna attività lavorativa lecita, non possiede beni immobili e/o rendite, non ha addotto motivi sanitari personali che giustifichino la sua presenza in loco, lasciando presupporre, quindi, che si rechi in Saronno (VA) solo per commettere reati;

E di conseguenza, adducendo alla mia presunta pericolosità per l’ordine, la sicurezza e la tranquillità pubblica, mi viene confermata la misura preventiva del foglio di via obbligatorio da Saronno per il massimo della durata, cioè tre anni.
La richiesta è stata fatta dalla Polizia Locale di Saronno per conto del sindaco Alessandro Fagioli, il pretesto con cui è stata presentata sarebbe la mia partecipazione (tutta da dimostrare, peraltro) ad una occupazione di uno dei tanti stabili dismessi di proprietà comunale, nella fattispecie l’ex centro di collocamento nel centro storico in via Giuditta Pasta angolo piazza Indipendenza.

Nei fatti la realtà è chiaramente un’altra, e cioè il tentativo della giunta tinta di verde di fare piazza pulita di chi abbia in cuore ideali di libertà, uguaglianza e solidarietà, così da poter attuare le proprie politiche razziste e discriminatorie senza nemici interni con cui fare i conti.

Secondo le carte io vengo punito e sorvegliato solo per dei sospetti a mio carico, sospetti riguardanti l’occupazione, durata due settimane, di uno stabile comunale vuoto e lasciato a marcire da un decennio.

Questo per mettere al loro posto alcuni tasselli e farci tutti insieme un’idea della situazione.
Questa misura è una evidente ingerenza nella mia sfera privata, anche perché più che impedirmi di andare nella tal città mi viene impedito di stare nella città in cui sono nato e cresciuto e in cui ho una parte importante dei miei affetti e quindi della mia vita.
È una limitazione pesante della mia libertà che non sono disposto ad accettare.

E’ difficile riuscire ad analizzare il periodo storico in cui ci si è trovati a vivere, tuttavia alcuni elementi potrebbero aiutarci nell’analisi. Il sistema economico mondiale e la maniera in cui le società occidentali si sono strutturate nell’ultimo periodo portano alla concentrazione in determinati spazi di grandi masse di uomini, donne e bambini. La gestione di questi flussi è il nodo che l’Europa sta cercando sciogliere a suo modo: erigendo frontiere e concentrando in campi costruiti ad hoc migliaia di persone con la necessità di muoversi. E’ una frontiera il Mediterraneo, mare rosso sangue che grida sofferenza; sono frontiere Ventimiglia, Como e il Brennero; è una frontiera Malpensa con i voli di rimpatrio coatti; sono frontiere l’Hotspot di Taranto e i CIE sparsi per l’Italia.
Ma cos’è una frontiera? Una frontiera è un limite, un confine, un muro, un filo spinato. Per noi occidentali la frontiera il più delle volte è semplicemente il messaggio sul cellulare che ci avverte del cambio di tariffa, è il cambio di lingua e della segnaletica stradale.
A noi è celato il vero volto delle frontiere, che si mostra invece a chi occidentale non è, a chi non ha il giusto pezzo di carta per attraversarla. Allora la stessa frontiera che per noi e per le merci altro non è che una porta, si palesa per ciò che è: un limite.
La parola limite deriva dal latino limes ( = limite, confine, barriera), connesso a limus ( = obliquo) e limen ( =soglia).
Il limes ai tempi dell’Impero Romano costituiva il confine, la barriera fortificata dell’Impero, costituiva l’equivalente nel mondo reale del tratto di una penna su una mappa.
Ecco allora le frontiere cosa sono sin dalla loro nascita e nella loro evoluzione.
Muri e filo spinato sono solo una delle rappresentazioni, e forse la meno conveniente per chi vuole gestire, controllare e reprimere uomini e donne. La meno conveniente perché la meno spendibile a mezzo stampa e meno assimilabile, forse, dalla popolazione. Per questo motivo è bene che il sangue, le botte, le manette, gli stupri e la morte rimangano celati agli occhi del cittadino. Non significa che questa gestione sia meno violenta e repressiva, tutt’altro, ma semplicemente che l’altra faccia della medaglia è celata ai nostri occhi, avviene nei CIE, veri e propri lager moderni, avviene nei rastrellamenti della Polizia, avviene… e avviene nel silenzio generale.
Ma una frontiera può diventare, nel mio piccolo, anche il semplice passare da Ceriano Laghetto a Saronno. Una frontiera che il Questore di Varese ha deciso di erigere per me come per altri ragazzi e ragazze.
E quindi si evince che una frontiera non ha bisogno di muri, di filo spinato e di un posto di blocco per essere tale. Una frontiera può essere anche una imposizione, uno schema mentale che ti porta al considerare “no, questo non posso farlo altrimenti poi…” e di poi in poi, via via diventi tu stesso il posto di blocco, il filo spinato e il muro della frontiera. E’ la vittoria del Grande Fratello, inteso come sistema totalitario orwelliano, ça va sans dire. E inavvertitamente diventi il controllore di te stesso, il censore e il bastone che limitano le tue possibilità.

Ecco quindi che si presenta l’urgenza di violare l’imposizione poliziesca, non tanto per quel frizzante gusto di trasgressione e ribellione, ma per necessità.
A Torino sono state più volte violate le assurde misure cautelari imposte dal tribunale (dagli obblighi di firma ai divieti di dimora, in qualche caso persino gli arresti domiciliari), ogni giorno centinaia di persone in movimento sfidano quel limen sempre più solido e impenetrabile rischiando la loro stessa vita, chi pone se stesso come ostacolo alle deportazioni e ai respingimenti viene allontanato dai luoghi caldi come Ventimiglia o il Brennero attraverso il foglio di via, addirittura chi cerca di impedire un respingimento coatto salendo su una torretta fuori pista a Malpensa viene arrestato per resistenza.

Ora che questa vicenda, la mia vicenda, è di dominio pubblico non mi aspetto mobilitazioni di massa o prese di coscienza. Mi auguro semplicemente ci sia un po’ più di attenzione, per affettare meno la realtà, per capire che mondo si nasconde dietro ad un titolo di giornale che riporta di numerosi fogli di via dalla città di Saronno.
Chiudo salutando i pochi che sono arrivati fino a qui nella lettura, vi ringrazio. Per finire una citazione che negli anni mi ha accompagnato e che credo racchiuda in sé una musica magica che una volta udita non ti abbandona più:

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
Italo Calvino, Le città invisibili
3 settembre 2016
Matteo