GRANDI OPERE E LOGISTICA: DEVASTAZIONE E SACCHEGGIO
Programma delle iniziative contro la devastazione del territorio.
Le grandi opere sono il bancomat dei partiti. Puntualmente, emerge qualche scandalo corruttivo tra politica e realizzatori delle opere: non sono eccezioni, ma è il sistema tangentizio 2.0 del dopo tangentopoli. La lottizzazione degli appalti delle opere pubbliche è cosa nota, come i controlli concordati, la sicurezza sul lavoro e il rispetto dell’ambiente negati, il voto di scambio che offre poltrone in cambio della realizzazione di un inceneritore, di un nuovo complesso commerciale o residenziale o di qualsiasi altro progetto.
Tutte le operazioni sono finanziate dalle banche, che si assicurano interessi fissi per decenni, banche legate a filo doppio alla politica perché nelle loro fondazioni siedono esponenti importanti dei partiti. Proprio quei partiti che decidono di fare queste opere. La creazione di grandi corridoi di spostamento non ha correlazione con la quantità di merci da spostare. In parte perché vi è profitto per chi le decide e chi le realizza a prescindere dall’utilità effettiva, dall’altra perché attraverso questi sistemi si favoriscono i grandi operatori presenti sul territorio, senza costi a loro carico.
La logistica è l’essenza della competizione tra le imprese, attraverso di essa e l’economia di scala, l’abbattimento del magazzino, la concentrazione dei punti di snodo, l’informatizzazione degli ordini, i grandi gruppi vanno a sostituire altre forme di produzione e commercio diffusi sul territorio. Chi comanda favorisce questo processo con la politica fiscale, la burocrazia, le normative… e con le infrastrutture.
Competizione e aumento della velocità sarebbero il criterio secondo il quale, gareggiando gli uni contro gli altri, le condizioni di vita migliorerebbero per tutti. La verità riguardo questa affermazione si è rivelata bene in questi ultimi anni. La qualità della vita segue questi cambiamenti. Il lavoro è sempre più precario, cioè sostituibile: può essere spostato il luogo di produzione, oppure si può far arrivare manodopera da più lontano. In entrambi casi il ricatto porta a sobbarcarsi più lavoro e più spese, oppure a rinunciare a parte del salario o a dei diritti acquisiti. La società diventa sempre più dipendente dalle merci e dai suoi spostamenti, così a prescindere dalle reali possibilità di un territorio di produrre ciò di cui ha bisogno aumenta sempre di più la dipendenza da pochi operatori centralizzati. E nel ciclo delle opere infrastrutturali si inseriscono danni ambientali, riciclaggio di rifiuti, devastazioni del territorio, aumento del traffico e delle emissioni.
VARESE TERRA DI VELENI…
Il varesotto e l’alto milanese hanno un apparato industriale molto sviluppato, dove la chimica ha avuto un grande ruolo. Tra laghi e fiumi questo territorio ha visto lo sviluppo di poli di lavorazione molto importanti, alcuni ancora operanti, altri dismessi ma tutti contraddistinti dall’accumulo di un secolo di veleni. Laghi e fiumi inquinati, terre contaminate, incidenti, acqua potabile divenuta velenosa hanno un motivo, spesso un nome, una ditta che ha sversato, accumulato, nascosto i rifiuti pericolosi delle proprie lavorazioni.
Ancor oggi ci sono grosse ditte autorizzate a sversare gli inquinanti nei nostri fiumi, ben oltre i limiti considerati nocivi per la salute (perstorp, chemisol, lamberti, carslberg, dipharma,. …). E pensare che ad autorizzarli sono quei sindaci che la legge considera primi responsabili della tutela della salute!
Questa facilità nello “smaltimento”, o meglio “imboscamento” delle nocività, ha attirato multinazionali da tutto il mondo; in particolare dal cuore dell’Europa industriale alla quale i valichi alpini ci collegano così bene. Sono decine i poli chimici che, dopo aver avvelenato e ucciso chi ci lavorava e non solo, hanno talmente inquinato i terreni su cui sorgevano da rendere velenose le falde acquifere da cui tutti noi abbiamo bevuto: allo stato attuale non ci sono bonifiche ma solo «pozzi barriera», una mancata soluzione contro la discesa dei veleni negli strati più bassi del terreno dove c’è l’ultima acqua potabile.
Invece che bonificare l’acqua inquinata viene estratta e riversata nei fiumi e nei depuratori comunali: l’effetto si vede, e si sente, presso qualsiasi fiume (grazie a composti cancerogeni o pericolosi come ammine, fenoli, formaldeide, metalli pesanti).
Quando poi non è stato più possibile nascondere tutto in loco, le sostanze pericolose sono state spedite altrove, in Italia, in Africa, o nel mare. Sono decine le ditte della zona i cui bidoni tossici sono stati trovati sulla “Zanoobia”, unica nave dei veleni della quale è nota la provenienza del carico. Su tutto ciò vige ancora il segreto di Stato apposto dai servizi segreti: secondo alcuni le responsabilità del lavoro sporco vanno cercate nelle alte sfere della politica. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ne sapevano qualcosa.
DI INFRASTRUTTURE…
Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza un’adeguata rete di collegamento con le altre aree industriali del Nord Europa, che hanno potuto installare qui le loro produzioni più pericolose.
Oggi è in atto una ristrutturazione delle aree produttive europee, e con la delocalizzazione si ripropone il ricatto salute o lavoro: continuare a produrre qui senza tutelare l’ambiente, i lavoratori e la popolazione, oppure produrre dove ci sono meno inghippi.
Per questo, nonostante la produzione diminuisca, si chiedono sempre nuove infrastrutture: potenziamento delle ferrovie merci, degli scali, delle autostrade, dei poli logistici, degli aeroporti.
Sul nostro territorio, già pesantemente urbanizzato, è stato completato il primo lotto di Pedemontana: un’autostrada assurda, costosissima, che ha divelto case, boschi ed aree agricole, toccata dalle solite inchieste sulla corruzione ma soprattutto che attraverserà i terreni del disastro di Seveso, buttando all’aria di nuovo le terre contaminate dalla diossina. Così come per la Bre.Be.Mi sono stati usati rifiuti da smaltire nel sedime stradale, nell’Arcisate-Stabio l’arsenico di risulta finirà derubricato in qualche cava, mentre per l’alta velocità milanese sono stati accertati patti con le mafie del movimento terra.
DI SPECULAZIONI…
Le nuove infrastrutture “valorizzano”, cioè producono denaro su terreni dei grandi immobiliaristi in corrispondenza di svincoli e insediamenti, dove sorgeranno nuovi capannoni destinati a rimanere vuoti. Un terreno che valeva uno poi varrà cento, e verrà rivenduto, grazie ai trucchi della finanza, nelle borse azionarie.
É stato così per Malpensa, cattedrale nel deserto per la quale sono state costruite fior di infrastrutture, ma disertata dai passeggeri: nonostante tutto si vuole costruire la terza pista, che è fondamentalmente un enorme parco logistico annesso. Con questo buon esempio alle spalle i proprietari delle aree industriali hanno lucrato nel “riqualificare”, cioè edificare, sopra le vecchie fabbriche grazie alla bolla speculativa sugli immobili. Un esempio eclatante quello di Montecity-Santa Giulia: edificazione di un nuovo quartiere popolare, asilo compreso, su terreni inquinati ex-Montedison. Un po’ quello che vorrebbero fare a Castellanza. D’altra parte la regione regala ai proprietari delle aree tossiche una volumetria aggiuntiva del 30% sulla riconversione edilizia, chiudendo gli occhi quando queste aree sorgono di fianco a produzioni pericolose come per il nuovo quartiere «Citylife». Insomma ci ritroviamo ad aver pagato oro case che, come minimo, non valevano niente.
Ma mutui (e case vuote) sono rimasti e non è un caso che in tutta la provincia gli sfratti chiesti l’anno scorso siano stati 1500: 60 eseguiti nel 2013 solo a Gallarate, dove qualcuno ha cominciato ad opporsi a questa ingiustizia, resistendo agli sfratti.
INTERPORTI…
Tornando alle merci e ai loro scali, tra Busto e Gallarate dobbiamo parlare dell’interporto Hupac, nei pressi del quale recentemente è esplosa una cisterna contenente materiale nocivo. Per la cronaca, una delle tante cisterne che, transitata tra le case su un treno merci, giaceva sul pianale di un rimorchio stradale in attesa di continuare il viaggio. Questo enorme scalo merci è la porta d’ingresso dei prodotti chimici dal nord. Vengono lì stoccati e movimentati container pieni di sostanze pericolose per lunghi periodi e senza controlli indipendenti, ed ogni incidente viene al solito minimizzato attraverso i media e le autorità locali. Risalendo la vecchia linea ferroviaria, dove i treni passeggeri diminuiscono di anno in anno, troviamo i nuovi tunnel di base che attraversano le Alpi, sotto il Sempione e il Gottardo: progetti fotocopia come in Trentino (tunnel di base del Brennero) e in Piemonte (tunnel di base Susa-Modane). Questi enormi trafori, che a detta loro dovrebbero togliere il trasporto delle merci dalle strade, sono studiati per trasportare i tir (invece che i container delle linee storiche) attraverso le montagne fino al cuore industriale della regione, dove riprendono la loro via: gronde ferroviarie, strade, autostrade vecchie e nuove, poli chimici. Siamo sulla linea del cosiddetto «terzo valico», studiata per analoghi motivi dal porto di Genova fino agli interporti stradali dell’entroterra piemontese, e parte della cosiddetta linea 2 che attraverso il nostro territorio arriva idealmente al porto di Rotterdam.
Le Gronde ferroviarie vengono costruite per queste ragioni, non certo per sostituire il traffico su gomma ma per integrarsi ad esso, aumentandolo. Si parla tanto dell’Arcisate-Stabio che di questa rete fa parte: con la scusa di Expo 2015 sono stati stanziati altri fondi per la sua realizzazione, ma servirà non per portare i pendolari oltreconfine o servire l’aeroporto di Malpensa come si dice, ma per scaricare sulle gronde tonnellate di merci in arrivo con il progetto Alptransit (tunnel di base del Gottardo). Le lobbies di pressione del trasporto intermodale Svizzero hanno chiarito, in occasione dei recenti referendum, che i passeggeri (frontalieri) non dovranno interferire con i treni merci per i quali sono stati stanziati i finanziamenti. Ricordiamo inoltre che nella realizzazione dell’Arcisate-Stabio i costi sono lievitati con la «scoperta» della presenza di terre all’arsenico (naturalmente presente in tutta la zona) secondo uno schema già visto: o avviene una derubricazione dei materiali di risulta che possono essere smaltiti senza le dovute accortezze, oppure i costi improvvisamente lievitano… come nel caso del traforo ad alta velocità Firenze Bologna dove il corto circuito tra politici, cooperative realizzatrici e controllori è arrivato all’onore delle cronache.
POLI LOGISTICI…
Tutto questo fiorire di collegamenti ferro-gomma, non può funzionare senza un corrispettivo aumento della logistica, che ha sostituito l’industria per tipo e numero di impiegati. I poli logistici nostrani sono competitivi a livello europeo perché le tutele del lavoratore sono ancora tutte da conquistare. Grazie al perverso sistema di regolamentazione dell’immigrazione, che criminalizza la «clandestinità» con il permesso di soggiorno agganciato al posto di lavoro, i lavoratori giunti da tutto il mondo hanno dovuto accettare i metodi mafiosi delle cooperative di facchinaggio, come a Origgio. Proprio qui, presso i magazzini Bennet, è iniziato il ciclo di lotte che ha visto combattere tali condizioni di lavoro, bloccando i cancelli e mettendo in seria difficoltà questi sistemi di sfruttamento infiltrati dalla malavita di cui si servono i grandi marchi per aumentare i propri margini di profitto.
Tutto questo sistema di produzioni nocive, speculazione e sfruttamento, fa il paio con quello delle grandi opere, un sistema facilitato di spesa e spartizione della torta tra potentati economici, funzionale a tutto quanto scritto fin ora. Il caso del tav in Val Susa è quello più noto per la strenua resistenza che incontra, ma non è scollegato alla rete che abbiamo descritto. La sua dannosità e inutilità è nota, e in spregio ad ogni buon senso lo Stato porta avanti la sua realizzazione nella speranza di dimostrare che nessuno si può opporre ai grandi interessi.
Invece non sempre tutto gli va secondo i piani, e grandi e piccole battaglie hanno le loro vittorie: i dipendenti del magazzino Bennet di Origgio hanno ottenuto quanto chiedevano, il progetto Elcon è stato bloccato, il movimento no tav finora ha impedito la realizzazione dell’opera.
I ribelli di oggi sono chiamati terroristi come tanti anni fa i liberatori partigiani furono chiamati banditi, senza per questo smettere di lottare per una società più giusta e più libera.
Anche il presente vuole le sue lotte.