Vallette dessét de Agost
Carissime compagne e compagni di lotta vi abbraccio tutti.
Grazie di tutto quanto state facendo per me, il mio pensiero va a voi che resistete in Clarea od ovunque sia.
Il morale è alto e sono in forma (mi alleno per tornare a correre dietro a Giacu in Clarea).
Avrei voluto dirvi di non spendere energie per me, ma di concentrarvi nella lotta.
Non temo nulla perchè la mia famiglia è una stirpe di partigiani “sfrosatori”, scampati o internati nei lager, montanari scesi in miniera o nelle officine, che mi hanno insegnato a lottare per i miei ideali anche di fronte alle pallottole del nemico, ai padroni prepotenti, alle guardie in divisa.
Ma credo ci sia ora un’esigenza politica che va oltre la mia vicenda personale, che si evince anche dalle parole del gip nel rigettare la scarcerazione, cioè che ” le azioni […] appaiano estranee ai motivi della protesta no-tav”.
Ora, l’uso di gravi imputazioni, come anche quella di associazione sovversiva, sono il tentativo di delegittimare ogni opposizione che non sia simbolica.
Dobbiamo opporci a tali castelli accusatori perchè se passassero ce li troveremmo davanti domani ad ogni passo.
Evidentemente blocco e picchetto sono due strumenti molto fastidiosi, pensiamo anche alle lotte della logistica: anche lì fogli di via, accuse di furto e via andare.
Ma il blocco è un patrimonio storico di tutti i movimenti di lotta e come tale va difeso.
Dunque può valere la pena dare un segnale di unità sotto queste mura per poi tornare nel cuore della lotta.
Ogni cosa fatta per contrastare il TAV la considererò anche in solidarietà mia e degli altri indagati che abbiamo.
Se permettete una riflessione, credo ci troviamo in una fase di guerra “totale” dove c’è una regia unica a manovrare
l’informazione, l’operato poliziesco e dei magistrati, la politica e l’esecuzione dell’opera.
L’intervento in Val di Susa è militare e tutto si subordina ad esso.
Lo vediamo con il decreto di allargamento della “zona rossa”, ma ancor più con l’uso dei “bravi ragazzi”, che dopo i massacri delle popolazioni delle montagne afgane ora hanno girato i fucile verso “casa”.
Si allenano a contenere il malcontento che la guerra del capitale contro di noi non mancherà di creare.
A mio parere, quindi, dovremmo guardare anche a quello che accade fuori dalla valle.
Per l’oggi invece direi di non disperare.
La repressione è forte perchè il movimento oggi è un problema più grosso di un tempo.
Non sottovalutiamo quanto fatto finora: l’accanimento dimostra che non ritengono possibile portare avanti l’opera con questo livello di opposizione.
Quindi, senza prestare il fianco alla repressione, continuiamo con la varietà delle inizitive e con l’osservazione del cantiere.
Come dice Mimmo ” l’importante è non stare a casa davanti al televisore”(o al computer).
Questa è la nostra forza, ognuno può fare un pezzettino perchè la valle diventi impossibile per cantiere e occupanti.
Occhi aperti e buona lotta
“NOI FELICI QUANDO VOI ARRABBIATI” Giacu
Ciao,
Giobbe